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 Dicono che la morte sciolga

ogni cosa, tranne 

i pensieri che rimarranno in eterno, tramandati, raccontati, scritti,

ma restano.

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La felicità

LucidaMente, anno VIII, n. 85, gennaio 2013

La realtà non soddisfa. Crisi e regole limitano la nostra libertà. Aumentiamo l’autostima con un po’ di trasgressione.

 

Il primo essere vivente ad avere cercato la felicità e ad averne pagato care le conseguenze fu Eva, la prima donna. Emotività, stati d’animo, sentimenti influenzano la felicità. Ma cos’è la felicità e perché ne siamo alla costante ricerca.

Fin dall’antichità, filosofi e studiosi si interrogano su questo stato d’animo formato da fragilissimi equilibri e apparentemente così difficile da trovare. Daniel Gilbert, meglio noto come “professor felicità”, psicologo sociale ad Harvard, sostiene che anche nei casi più catastrofici, le persone riescono a reagire molto meglio di quanto esse stesse si potrebbero aspettare.

Infatti, dopo aver trascorso un periodo difficile e ci mettiamo a riflettere su quanto abbiamo vissuto, ci meravigliamo della nostra, tutto sommato, positiva reazione. Infatti Gilbert dice che gli esseri umani tendono ad essere moderatamente felici, qualsiasi siano le loro sorti. Sembra essere una reazione di sopravvivenza del nostro corpo alle avversità della vita, un’endorfina secreta al momento opportuno, una compensazione razionalizzante. Epicuro, scrisse che la felicità è equilibrio di piacere e dolore che giunge solamente dopo un periodo più o meno lungo di attesa. Felicità che possiamo ricercare in qualcosa di esterno a noi sotto forma di un traguardo, di una spesa importante o semplicemente di fumare una sigaretta in un dato momento o ascoltare il brano musicale che ci garba.

E’ corretto stabilire che la felicità è dunque soggettiva ed è anche uno stato d’animo che  si adegua ai tempi e le condizioni in cui viviamo. Se l’uomo non fosse stato curioso, se si fosse accontentato di ciò che la natura gli aveva messo a disposizione, oggi non saremo qui a scrivere su tablet, ad inviare file, ad andare su marte o al lavoro con il treno. La felicità procurata da una scoperta è un’emozione cui l’uomo non ha mai rinunciato. Un bimbo trova la sua felicità scartando un pacco regalo, un carcerato nel vedere un pettirosso posarsi sulla finestra della cella, un anziano nell’accarezzare i suoi nipoti, nei lager era ricontarsi tutti nella camerata ogni sera. La felicità ha seguito l’evoluzione e le condizioni dell’uomo, tramite le sue innovazioni e cambiamenti storici presentando così molte facce come sosteneva Bertrand Russell, filosofo del novecento. 

Uno degli aspetti inquietanti della felicità, che spesso passa inosservato è accaduto a Miami è accaduto il 23 luglio 1997 quando nella sua “Huseboat” si suicidò con un colpo di calibro 40 il serial killer Andrew Phillip Cunanan, che assassinò Gianni Versace. Gli abitanti di Miami, appena appresa la notizia si dettero ai festeggiamenti per l’intera nottata dimostrando ai giornalisti che li intervistavano una felicità ritrovata. Erano ritornati ad una situazione di stabilità sociale che aveva innescato un’incontenibile esplosione di gioia. Forse l’accontentarsi di piccole cose della quotidianità, senza fare mega progetti o proporsi obiettivi faraonici, aiuta a vivere meglio facendoci apprezzare di più ciò che abbiamo.

Cercare il successo nel lavoro può rivelarsi essere un’arma a doppio taglio poiché se l’obiettivo è raggiunto aumenta la felicità ma se esso tarda a venire diminuisce l’autostima, aumenta la tristezza, la malinconia e si finisce per cadere in depressione, il male silente del nostro secolo. Ogni essere umano è un progetto di vita e l’aspirazione alla felicità è il comune denominatore alla base di tutti i progetti umani. Non dobbiamo trascurare l’importanza che riveste il fattore micro e macroeconomico influenzando l’andamento famigliare e l’affermazione sociale di un individuo. Il nord del mondo ha parametri di misura totalmente differenti rispetto al sud del mondo. Il primo legato alle cose materiali il secondo più ai rapporti umani.

Per troppo tempo gli uomini hanno pensato che la felicità dipendesse dal livello dei consumi e, per assicurarsene una fetta sempre maggiore, hanno dedicato al lavoro una quota sempre più alta del loro tempo. Così facendo hanno però finito col sacrificare le relazioni umane che costituiscono invece il principale generatore di felicità. Non a caso i popoli della terra più felici risultano essere economicamente più poveri come i burkinabè o gli hunzà. La felicità è uno stato d’animo che appartiene a tutti, un patrimonio dell’umanità che necessariamente deve essere tutelato e presente per poter vivere meglio. Il segreto quindi per essere felici è un po’ di salute, buoni rapporti umani e sapersi accontentare pensando a ciò che abbiamo utilizzando parte del nostro tempo per fare qualcosa che ci garba particolarmente.