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Maria Emma Caneva - Storia di una famiglia leonicena

Giugno 2010

I coniugi Caneva Giovanni e Gozzi Giovannina ebbero due figli: Isidoro, classe 1876 e Antonio, classe 1874, originari di San Bartolomeo in Val Cavarnia (CO). In quelle valli di sogno, i due fratelli svolgevano l’attività di mandriani e allevatori di una quarantina di mucche da latte che portavano al pascolo in località Oggia a circa mille metri d’altezza. All’età di vent’anni, tentano miglior sorte migrando nel Veneto. A Lonigo, confezionano cappelli Borsalino e forgiano pompe e paioli di rame in Via Ognibene. E’ il secondo negozio di ferramenta dopo Pasini che aveva l’attività dove oggi sorge lo sportello di Banca Unicredit nella nostra città.

Parte dalla provincia di Como la storia della famiglia Caneva. Grazie all’intraprendenza di due fratelli che con determinazione e audacia, scendono dalle montagne per arrivare ai piedi dei Colli Berici ed insediare la loro attività. Isidoro sposa Giovanna Mancassola con la quale avrà 4 figli: Maria, che morì di febbre spagnola a solo 19 anni, Emma che sposò Guzzoni Aroldo nel 1930 e che morì di parto a soli 29 anni pur riuscendo a dare la luce al figlio Fernando Guzzoni, Dina che morì ad 86 anni e Giovanni che morì a 39 anni nel giorno del proprio compleanno; era il 24 agosto del 1949. Antonio sposa Giacomina Mancassola, vedova con il figlio Carlo che è appassionato e studioso violoncellista. Non avranno figli naturali nonostante gli undici tentativi non andati a buon fine. Carlo è una persona distinta, sempre elegante e ben curato come un lord inglese ma seriamente ammalato di tubercolosi. Morì a soli 17 anni a Venezia. 

I temerari fratelli, avendo conseguito allora la settima classe, cosa eccezionale per quei tempi, non desideravano continuare con l’attività di mandriani, così decisero un giorno di unirsi a quattro cugini e migrare in Veneto. Due cugini si fermarono a Bovolone, due a Noventa Vicentina mentre Isidoro e Antonio in quel di Lonigo. In Via Ognibene, dal lato della ex sede della Banca Popolare di Vicenza, trovano alloggiamento per la loro attività dove confezionano cappelli Borsalino. Dopo qualche tempo una signora che era ragazza madre, decide di emigrare in Argentina per poter dare maggiori possibilità alla figlia visto che l’Italia aveva ben poco da offrire. Così vende l’immobile di Via Ognibene ai due fratelli, dove fino allo scorso decennio era insediata l’attività dei Caneva. Antonio e Isidoro iniziano un lungo viaggio per andare a recuperare le loro morose rimaste nel comasco. Dopo tre mesi fecero ritorno già sposi e ripresero l’attività. Tra paioli di rame, qualche cucina e pompe in rame da una parte e cappelli dall’altra l’attività procede a gonfie vele, non senza qualche difficoltà. 

A Lonigo negli anni ‘30 c’erano poche negozi: Purelli che commerciava in cuoio e pellame, Piga vendeva cravatte, Manega e pochi altri. La bottega di Caneva, lentamente si evolve con il crescere dell’economia e dello sviluppo agricolo. Compaiono le prime falci, chiodi di ogni tipo, pentolame di vario genere; l’attività accontenta il paese secondo ogni esigenza. Maria Emma, gestisce oggi l’attività lasciata dai nonni, con impegno e professionalità e tra i suoi ricordi emerge la signora Rosina Castagnaro che fu una tra le prime persone a Lonigo ad avere un’automobile. Era bionda con tutte le onde che le donavano splendore, il marito non aveva la patente e quando lei passava per Via Ognibene erano tutte fuori dal negozio ad ammirare la mitica Topolino C e sognavano anche loro di poterne avere una. Inoltre c’era di fronte all’entrata di Villa Giovannelli, il mercato del pollame dove accorrevano molte persone con piccole stie legate alla meno peggio sul portapacchi della bicicletta per andare a comperare o vendere i volatili. 

Molti erano i poveri che raccoglievano da terra i resti di sigaretta che riversavano in un barattolo per recuperarne il poco tabacco. “Erano anni difficili e si viveva di poco; la domenica dopo messa si andava a ricamare dalle suore, racconta Maria Emma, oppure a comperare una pastina da Vindice in Via Trieste. Se la giornata era soleggiata, in primavera si andava sui colli a raccogliere le more e i frutti che la natura offriva. Sono stata cresciuta dalla sorella di mia mamma, Matilde Dalla Benetta alla quale ho sempre fatto riferimento per l’educazione e alla quale sono particolarmente grata. Mio papà morì che avevo solo quattro anni e non ho potuto beneficiare delle sue amorevoli attenzioni e anche se la mamma si è risposata, la nostra è sempre stata una famiglia molto unita. Papà avrebbe voluto un maschio che gli garantisse la continuità del negozio. Io ho saputo fare ugualmente”.